Guerriero di Capestrano
"Me Bella Immagine Fece Aninis per Il Re Nevio Pompuledio"
Questa la traduzione dell'inscrizione in lingua sud-picena presente sulla statua.
Nevio Pompuledio.
Fu un guerriero, o forse re, o forse donna?
Sembra avere una maschera sul volto, e priva di un sesso distinguibile, come un androgino.
E' uno dei reperti più misteriosi che il passato ci ha restituito. Scultura in pietra e marmo datata VI secolo a.C., rinvenuta nel 1934 nei pressi di Capestrano (AQ),(da cui l’epiteto fittizio). Una delle opere più monumentali e impressionanti dell'arte italica.
Oggi simbolo artistico d'Abruzzo.
Angitia. Dea dell’Abruzzo. Dea dei Serpenti.
Nell’Abruzzo italico, preromano, la Divinità arcaica che incarnava la Grande Madre si chiamava Maja e nel territorio dei Marsi, Angitia. Due, ma spesso confuse in una sola.In Angitia rivive un ricordo della Grande Madre, la Dea del ciclo Morte-Rinascita, detentrice di arcani poteri femminili, genitrice di ogni magia. Conoscitrice dei segreti della Natura, capace di dominare la Luna, le cui fasi sono analoghe ai differenti momenti della vita della Donna; Essa aveva il potere di guarire dal veleno delle serpi. Questi, con i loro cicli vitali, intercalati dal letargo e dalla muta della pelle, segnano il divenire e la trasformazione, l’immobilità e il risveglio della Natura. Angitia era la Dea degli animali di forza primordiale, di istinto predatorio, di vita libera nei boschi, prossima alla natura umana selvaggia e primitiva, all’essere selvaggio esposto alle pulsioni istintuali. Nel periodo di transizione dal Paganesimo al Cristianesimo, il culto di Angitia venne sostituito dalla devozione a San Domenico, celebrato ancora oggi a Cocullo, durante la festa dei serpari, il 1° Maggio.
“Angitia, figlia di Eeta, per prima scoprì le male Erbe, così dicono, e Maneggiava da Padrona i Veleni e Traeva giù la Luna dal Cielo; con le grida i Fiumi Tratteneva e, ChiamandoLe, Spogliava i Monti delle Selve.” Silius, Punicae, libro VIII, 495-501
“Angitia, figlia di Eeta, sorella di Circe e di Medea, occupò il bosco sulle rive del Fucino, combattendo con la sua arte medica, le malattie; avendo permesso agli uomini di sopravvivere, fu considerata una Dea.” Silius, Punicae, libro VIII, 495, 501
“L’Alfabeto Osco”
L’osco è una lingua antica rappresentata mediante tre differenti sistemi grafici fondamentali; tre alfabeti, con diversi segni, da cui deriva ( latino, greco, etrusco ).
L’osco, lingua parlata dagli Osci e dai Sanniti, riguardò una popolazione vasta, maggiore di quella dei Romani, che abbracciava territori dall’Umbria all’Abruzzo. Ossia tutta la regione dell’Appennino centro-meridionale dove vi erano chiare influenze culturali per le emigrazioni dalla Grecia e dove Roma si stava espandendo oltre il Lazio. La stretta dipendenza dell’alfabeto osco da quello etrusco derivò da molteplici comunicazioni tra i due popoli. Lingua appartenente alle lingue osco-umbre, ramo delle lingue indoeuropee e che include tra le altre lingue l’umbro e i dialetti sabellici. Le prime iscrizioni in osco ritrovate sono datate V sec. a.C. L’osco è inoltre una lingua sinistrorsa (l’andamento della scrittura procede da destra verso sinistra), come i suoi caratteri speculari, come fossero visti allo specchio.
Il Disco Corazza - Immagini teriomorfe dell’inconscio.
Componenti unici dell’armatura sannitica, i dischi corazza risalgono al VII sec. a.C. ed erano finalizzati alla difesa del torace, il Kardiophylax. Gli animali mostruosi rappresentati, dalle valenze terrificanti e apotropaiche (probabilmente partorite dall’inconscio collettivo dell’epoca attraverso l’attività onirica), erano destinati ad intimorire l’avversario oltre che a conferire prestigio e una sorta di magica protezione al guerriero che indossava il kardio così ornato.
La presenza di questi elementi di carattere teriomorfo nell’armamento proiettano in quell’universo mentale e comportamentale del guerriero che affonda le proprie radici in un terreno di tipo magico-sacrale, capace di assimilare o trasformare il guerriero in una belva divina; usanza, questa, tipica nel mondo antico, nell’Italia preromana.
Dall’analisi stilistica e tipologica emerge inoltre la certa paternità abruzzese, anzi fucense, di questa straordinaria classe di materiali. Due noti esempi inerenti l’usanza di questi dischi da parte dei cavalieri sanniti nel VII-Vi sec. sono il Guerriero di Capestrano e il Guerriero di Guardiagrele.